“L’ interesse del minore, nel caso delle separazioni, significa individuare le condizioni più utili affinché il bambino non trovi ostacolo, nel suo processo di crescita, con i genitori non più coniugi, ma comunque capaci di mantenere la caratteristica genitoriale di sistema relazionale significativo. Interesse del minore significa dunque permettere al bambino di definirsi un individuo resiliente “ (Selvini).
Separarsi è senza dubbio una esperienza complessa e molto dolorosa che non vede solo la fine del patto coniugale, ma anche il mutamento di un nucleo familiare che si deve col tempo riorganizzare. La separazione e’ un processo in evoluzione, una fase di transizione, nella quale avviene la riconfigurazione di relazioni, dinamiche e parametri sia nel nucleo familiare, sia con la famiglia allargata e la rete amicale e sociale.
Compito della coppia genitoriale e’ quello di tutelare i figli dai problemi inerenti al fallimento della propria unione, ad attutirne l’ impatto emotivo e creare le migliori condizioni affinché il processo separativo evolva in modo tale che il loro diritto alla continuità affettiva e a un legame solido e sereno con entrambi i genitori sia salvaguardato. Analogamente anche altri importanti legami come quelli con la famiglia allargata e la rete sociale non dovrebbero andare danneggiati o perduti.
Il coinvolgimento dei figli nel conflitto di coppia
Quali che siano le cause, prima di giungere alla separazione la coppia attraversa nella maggior parte dei casi, una fase di conflittualità più o meno protratta che turba il clima familiare. E non è detto che le ostilità tra i partner soprattutto quando intense, possano cessare con la separazione, ma al contrario sono suscettibili di esacerbarsi, dando esito a lotte cruente delle quali purtroppo i figli subiscono le conseguenze.
Non è, infatti, la separazione in sé a essere traumatizzante per i figli ma è il protrarsi di un clima conflittuale tra i genitori e l’ essere immersi e coinvolti in relazioni disfunzionali. Condizione che può aprire la strada al disagio. Al contrario quando i conflitti sono insanabili, la separazione se ben gestita, li sottrarrebbe a un ambiente potenzialmente dannoso per il loro benessere.
Seppure nella precarietà della situazione, i coniugi dovrebbero trovare buoni accordi tra loro, in particolare su come condividere la genitorialità , dimensione che continua al di là della separazione. Iniziando con il significato da passare ai figli sulla fine della propria unione, da declinare diversamente secondo la loro età .
Un significato non tragico, che li rassicuri sulla continuità della loro presenza, affetto, cure, che nonostante l’ accaduto seguiteranno ad avere, aiuta ad attutire l’ impatto doloroso e destabilizzante dell’ evento separativo e ad avviarsi verso un processo di ridefinizione dei legami in modo corretto. Purtroppo pero’ malessere e conflittualità che abitano la coppia sono spesso di impedimento alla cooperazione tra i genitori.
I sentimenti dolorosi dei partner, il desiderio di risarcimento emotivo, di farla pagare in qualche modo al partner colpevole, li possono condurre a farsi la guerra anche in questo ambito.
Per i partner sono la mancata elaborazione della separazione e il non raggiungimento della consapevolezza circa le reciproche responsabilità causa della rottura dell’ unione, a protrarre e alimentare la conflittualità e ostacolare la riuscita del processo separativo, trattenendoli in un ” legame disperante ” (Cigoli). Cioè un legame che viene mantenuto attraverso il conflitto. I figli possono allora diventare un tramite attraverso il quale si esprime la loro lotta: con il mancato versamento dell’ assegno di mantenimento, ad esempio, o con il creare difficoltà nella visita al genitore non collocatario, arrivare a negarla, parlare male del coniuge ai figli. Questi ultimi saranno malauguratamente coinvolti in probabili coalizioni a due, rendendosi a loro volta protagonisti attivi nel conflitto e attuando strategie per risolvere i problemi familiari.
In particolare quando un genitore, in genere quello affidatario, getta discredito sull’ altro con il proprio figlio, si possono avere conseguenze diverse secondo l’ ampiezza, gravità e pervicacia nel perseguire il fine malevolo di danneggiare la loro relazione.
Può accadere che il genitore denigrato di fronte ad ostacoli ai quali non riesce a trovare soluzioni migliorative, abdichi al proprio ruolo genitoriale e abbandoni suo malgrado il rapporto con il figlio.
Oppure, secondo Gardner e numerosi contributi in letteratura di altri autori, che si incorra nella PAS * (Parental Alienation Syndrome- Gardner) una sindrome che insorge in merito all’ affidamento dei figli.
Brevemente, essa è caratterizzata dall’ azione di screditamento agli occhi del figlio da parte di un genitore, in genere quello collocatario/affidatario verso l’ altro e mirata all’ esclusione di quest’ ultimo, senza che vi sia una reale giustificazione. Un lavaggio del cervello che instilla nel bambino, facile alla manipolazione e all’ influenzamento, la convinzione della cattiveria e colpevolezza del genitore denigrato; una campagna diffamatoria che si alimenta spesso anche attraverso il sostegno della famiglia del genitore indottrinante e altri eventuali apporti ambientali.
Il bambino manipolato finisce per dare forma concreta alla tesi del genitore programmante attraverso il suo contributo attivo (caratteristica distintiva della PAS), disprezzando egli stesso il genitore denigrato ed esibendo nei suoi confronti atteggiamenti ostili, fino a rifiutare la relazione con lui.
In tale situazione, il figlio si trova a deidealizzare il genitore, figura di riferimento identificativa e affettiva fondamentale per la sua crescita e ad affrontare il lutto per la perdita alla quale lui stesso ha contribuito. Gli effetti patologici della PAS sia a breve sia a lungo termine, per sommi capi e secondo numerosi studi, si rintracciano in una serie di disturbi a livello emotivo, psicosomatico, comportamentale, relazionale e variano in base al grado di severità della sindrome, cioè lieve, moderato, grave. A ogni modo, il permanere di un’ intensa conflittualità tra i partner anche successivamente alla separazione e il coinvolgimento dei figli in triangolazioni e dinamiche disfunzionali, pone questi ultimi in una condizione di sofferenza e rischio psicopatologico. Il bambino nel trovarsi implicato nelle dispute, conteso o trascurato, indotto a scegliere con quale genitore schierarsi, vivrà conflitti di lealtà , sentimenti di colpa, abbandono, inadeguatezza e in modo particolare quando un po’ più grande di rabbia e rivalsa.
Inoltre, nel gioco delle alleanze duali, in un’ invischiante vicinanza emotiva con un genitore, può rivestire ruoli impropri, come ad esempio quello di suo protettore, confidente, partner ideale. Oppure può restare nella posizione di perenne figlio-bambino, mai abbastanza adulto per cavarsela da solo. Dinamiche patologiche che potranno interferire sulla sua possibilità di costruire relazioni affettive appaganti, di autonomizzarsi ed emanciparsi dalla famiglia.
Il malessere che il minore sperimenta si può esprimere attraverso un ampio ventaglio di possibili sintomi e disturbi sia emotivi sia fisici che tendono a manifestarsi in maniera peculiare secondo le fasi di sviluppo, anche associati tra loro e a rischio di continuità psicopatologica di uguale o differente tipo lungo il percorso evolutivo e in età adulta.
Ad esempio nel bambino possono presentarsi regressioni, disturbi del controllo sfinterico, del sonno, disturbi d’ ansia, irritabilità , irrequietezza, disagi relazionali, problemi scolastici, depressione, difficoltà scolastiche, somatizzazioni, disturbi del comportamento. E nell’ adolescente, depressione, disturbi d’ ansia, somatizzazioni, isolamento e disagio nelle relazioni, fallimenti scolastici, disturbi delle condotte – disturbi alimentari, comportamenti antisociali, uso/abuso di sostanze psicotrope, passaggi all’ atto, fughe, furti, sessualità caotica.
Tuttavia è impossibile stabilire a priori quali gli eventuali esiti patologici presenti e futuri poiché specifici per ogni singola situazione, dato l’ intrecciarsi di numerose variabili come gravità del comportamento dei genitori e sua durata, fase di sviluppo del minore e sue caratteristiche personali, momento del ciclo vitale della famiglia, modello di attaccamento verso i genitori, risorse personali e ambientali, ulteriori fattori di rischio.
In ogni caso un contesto familiare altamente conflittuale può compromettere l’adattamento del minore e determinare disagi e difficoltà più o meno gravi in grado di interferire sul suo sviluppo psicoaffettivo, socio-relazionale, sui suoi movimenti identificativi, sulla formazione della sua personalità , con conseguenze sul suo benessere psicofisico e sulla sua qualità di vita anche futuri.
Numerosi studi documentano che molte delle difficoltà riscontrate nei figli di genitori divorziati sono originate dal conflitto genitoriale che precorre e accompagna lo scioglimento del vincolo coniugale. (Paul R. Amato)
Gestire la separazione e condividere la genitorialità
I coniugi intrappolati in una forte conflittualità dovrebbero in primo luogo rendersi conto delle pesanti conseguenze che il permanere in questa condizione crea sulla qualità di vita presente e futura dei propri figli. Le esigenze di questi ultimi, oscurate dal malessere dell’ ex coppia coniugale, devono invece balzare in tutta evidenza. Il minore ha diritto a un sereno accesso a entrambi i genitori, alla continuità del legame con loro, a un suo completo benessere emotivo e relazionale, basi indispensabili per una costruzione serena della propria esistenza.
La letteratura e la ricerca in ambito psicologico indicano nell’ elaborazione della separazione, nella gestione della conflittualità , nel raggiungimento del divorzio psichico e di accordi condivisi, la strada da seguire affinché si possa attraversare il processo separativo in buon modo e garantire ai figli, pur nella difficoltà della situazione, la continuità del legame con entrambi i genitori, scevra da dannosissime azioni di parte.
In questo modo anche per i coniugi si può dischiudere la strada alla ricostruzione della propria esistenza e alla possibilità di nuove unioni, non restando più intrappolati nel legame disperante.
Dirimere le questioni solo a livello giuridico non può bastare, quando lo scontro è acceso e forte. Il rischio è quello di una cronicizzazione del conflitto legale e di un peggioramento dello status quo nelle relazioni. Il tentativo di risolvere le controversie solo in questo ambito potrebbe nascondere il bisogno di ottenere conferma delle proprie personali ragioni e la ricerca di un parere istituzionale che possa in qualche modo farle valere come assolute.
La ricerca psicologica ha permesso di centrare l’ attenzione sulle varie modalità di intervento e sulla loro validità in termini di effetti pratici sulla famiglia lacerata dalla separazione: CTU, mediazione familiare, gruppi di sostegno per genitori e figli, spazi neutri di incontro, psicoterapia.
Ogni tipo di intervento deve comunque essere in grado di porre al centro i bisogni della famiglia divisa, non solo la coniugalità, ma la relazione esistente tra la gestione della sua fine e il legame con le generazioni. I genitori dovrebbero essere messi in grado di creare per i loro figli i presupposti affinché possano ritrovare fiducia nel legame, riconoscere il valore positivo delle relazioni, ritrovare speranza nella vita. (Cigoli)
Tra le varie forme di intervento sarebbe da favorire un lavoro centrato sui perché della fine, dando senso ai contributi che ciascuno dei partner ha dato nel divenire del legame e sul naufragio della coppia. L’approccio di stampo sistemico-relazionale ha fornito in merito numerosi e sostanziali apporti.
Fonte: La Stampa
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