In chiusura della rubrica dedicata alla recensione del film “Tulpa” (regia di Federico Zampaglione) si anticipava al tema trattato nell’odierno appuntamento, rilevandone la stretta connessione con la realtà del sesso estremo attorno alla quale si snoda la pellicola.
Un legame a doppio filo, dunque, tra i racconti sui quali è tessuta la trama del lungometraggio, e le vicende giudiziarie che sempre più frequentemente vedono coinvolti amanti i cui giochi erotici finiscono, purtroppo, in tragedia.
Ma quale è il nesso con le vicende giudiziarie? Praticare sesso estremo, ci si chiederà, è forse reato? Certo che no. Anzi. La Costituzione – offrendo tutela, ai sensi dell’art. 2, ai diritti inviolabili dell’uomo – si rivolge anche al diritto alla libertà sessuale, inteso quale espressione dell’affettività e dimensione essenziale della persona. Va da sé, allora, che, elevandosi la sfera sessuale ad asse espressivo portante dell’essere umano, la libertà di disporne andrà protetta garantendo che ogni singola scelta inerente tale alveo sia assunta nella più totale consapevolezza e spontaneità.
Di qui, la punizione – da parte del Codice Penale – di ogni condotta a sfondo sessuale che sia imposta, con violenza fisica o psicologica, o comunque subdolamente indotta. Ecco che, qualora si attesti la perpetrazione di comportamenti che appaiano lesivi dell’altrui autodeterminazione sessuale, andrà posto, sul piatto della bilancia, sia l’oggettivo pregiudizio arrecato al bene protetto, che il legittimo esercizio del diritto ad abbracciare e seguire le proprie preferenze sessuali.
Saranno lecite, dunque, tutte quelle condotte che – seppur a primo impatto connotate da profili di costrizione o aggressività – siano, in realtà, desiderate da soggetti adulti la cui libido si soddisfi nell’infliggere sofferenza (sadismo) o nel subirla (masochismo). Ed è intuibile, come nell’esplicarsi di un tal genere di congiungimenti, si compiano, inevitabilmente, atti violenti o tesi ad umiliare l’altro. Modalità esplicative della sessualità – talora connotanti persino il classico ménage familiare – che gli studi di settore, invero, non collegano necessariamente a disfunzioni della sfera psicologica o a forme di psicopatologia.
Del resto, il DSM vuole qualificare il sadomasochismo come “una sana forma di espressione sessuale fino a quando non danneggia la normale vita quotidiana del soggetto”. Ad ogni modo, se in un contesto ordinario tali azioni verrebbero senz’altro a delineare ipotesi di reato (lesioni, percosse, ingiurie, sequestro di persona, violenza privata, stupro), nell’ambito dei giochi erotici ad alto rischio, esse perderanno l’intrinseca valenza criminale, per divenire, invece, legittime, stante il consenso prestato dall’avente diritto.
Tutto lecito, allora, purché si tratti di un gioco di ruoli concordato e regolato nei minimi dettagli. Dato di estrema rilevanza, ove si pensi – e i casi mediatici di cui siamo informati lo confermano – alle non isolate ipotesi in cui da una cattiva o disattenta gestione delle regole del gioco derivi un serio pregiudizio alla salute degli amanti o, addirittura, il decesso. Conseguenze più che ipotizzabili, alla luce del concreto modularsi dei congiungimenti, in cui la sfida al dolore ed alla morte, induce i soggetti a perpetrare pratiche pericolosissime, quali lo shibari, la mummification, il breath play o la suspension.
Ma se il consenso è linea di confine tra il lecito e l’illecito, la questione, solo in apparenza lineare, si complica notevolmente ove – nello svolgersi di tali giochi – sarà proprio il consenso prestato da uno dei partecipanti a vacillare durante il rapporto o ad essere ritrattato. In altre parole, è come se le parti stipulassero un contratto di “schiavitù sessuale”, offrendosi disponibili a compiere o subire determinate azioni, nel rispetto delle regole stabilite, prima fra tutte, la parola d’ordine da pronunciare per bloccare il gioco.
Va sottolineato, però, che – al fine di scriminare la condotta e renderla lecita – il consenso dovrà innanzitutto riguardare diritti disponibili.
Ma cosa vuol significare esattamente questa espressione? Il riferimento, è al fatto che la legge – pur tutelando la libertà personale – non permetterà mai all’essere umano di consentire ad altri di ucciderlo o di procurargli menomazioni permanenti o contrarie alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume.
Ebbene, tanto chiarito, interessa prender nota degli ulteriori requisiti di validità del consenso scriminante. Lo si riterrà valevole, in primo luogo, solo ove sia stato prestato con riferimento a quelle specifiche modalità dell’azione poste in essere dagli amanti.
Così, per recare un esempio, ove nel corso di un amplesso sadomaso si siano alternati atti violenti commessi nel concordato assenso delle parti (perciò leciti) ad episodi imposti solo da uno dei partecipanti, a carico dell’agente potrà scattare una condanna per violenza sessuale. Il consenso, poi, dovrà essere personale, fornito da un soggetto capace d’intendere e volere, nonché manifestato, nel senso che risponderà di stupro, anche chi abbia commesso un’azione repentina, senza previamente accertarsi dell’assenso del destinatario. Tuttavia, nei descritti contesti, non sarà sempre agevole distinguere il consenso solo apparentemente estorto – ma in realtà consapevolmente prestato – da un dissenso effettivo, dunque esulante dal copione concordato.
Sarà probabile, in effetti, che il dominato, pur desiderando quel violento trattamento, urli il suo dissenso o si divincoli, solo per restare fedele al suo ruolo e per soddisfare il partner.
Spetterà al giudice, allora, ricostruire – in caso di denuncia presentata dal partecipante che sostenga di non aver recitato nell’opporsi all’atto sessuale, ma di aver davvero espresso il suo dissenso a proseguire l’amplesso estremo – il concreto svolgersi degli eventi. Andrà accertato, in particolare, se il ripensamento della presunta vittima, sia stato percepito o fosse stato comunque percepibile dall’altro, cui sarà addebitata la responsabilità penale, solo ove si provi che abbia portato a termine il rapporto nella consapevolezza del sopravvenuto dissenso.
Si integrerà, pertanto, il reato di stupro nel caso in cui, durante la consumazione del rapporto, l’agente abbia appreso il dissenso della vittima la quale, seppur fisicamente bloccata, sia riuscita a manifestare una tempestiva reazione.
Ma cosa accade, invece, nell’ipotesi in cui una delle parti, nel subire l’atto violento, perda la vita per via di preesistenti patologie (cardiologiche o respiratorie) che lo abbiano reso vulnerabile? Il responso dipenderà dalle specifiche circostanze. Il dominatore, lo si annoti, potrebbe anche non rispondere affatto dell’accaduto, purché ignaro del cagionevole stato di salute del partner. Ciò, tuttavia, solo ove non sia ravvisabile alcuna probabilità che avesse potuto accettare il rischio del verificarsi dell’evento, o solo prefigurarsene la possibilità.
Andrà operato, poi, un puntuale raffronto tra l’azione da questi esigibile, secondo il metro dell’uomo modello, e quella concretamente posta in essere. Da valutare, inoltre, anche l’eventuale mancato soccorso alla vittima che abbia esternato difficoltà. Si valuti, infine, come l’esecuzione stessa della pratica sessuale possa aver cagionato l’evento, per mero errore nell’uso di corpi estranei, o per cattiva interpretazione dei segnali concordati. Ebbene, in tali evenienze, sarà il rinvio ai ben noti parametri dell’imperizia, della negligenza, dell’imprudenza, o della riconoscibilità del vizio, a dettare la colpevolezza del soggetto, o a liberalo da ogni responsabilità.
Nel tirare le fila del discorso, allora, potrà sostenersi come nello svolgersi delle pratiche sessuali estreme, l’eventuale conseguenza tragica del gioco sarà imputabile al soggetto che l’abbia procurata in via diretta ed immediata, nei soli casi in cui la lesione o la morte della vittima siano ricollegabili alla violazione, colposa (dunque non voluta) o intenzionale, delle regole pattuite, o dall’aver agito nonostante il dissenso espresso, o in costanza di un invalido consenso.
Questioni delicatissime, come si evince dai rilievi appena esposti, che meriteranno in sede processuale, un’attenta verifica sull’elemento psicologico proprio dell’imputato, sulle reali dinamiche dei fatti e su ogni altro elemento idoneo a ricostruire i fatti.
Fonte: State of Mind
Autore: Selene Pascasi
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