Diktat della giunta Zingaretti sull’applicazione della “194”. “Anche chi è contrario deve rilasciare la certificazione”. La regione ha il record dei camici bianchi che si rifiutano di effettuare gli interventi.
ROMA – L’obiezione di coscienza? Riguarda soltanto l’atto tecnico dell’interruzione volontaria di gravidanza, ma non il prima e il dopo intervento. E poi: nessun medico potrà d’ora in poi rifiutare ad una donna la prescrizione di un contraccettivo, pillola del giorno dopo e spirali comprese.
Nel Lazio delle liste d’attesa infinite, della legge 194 disattesa e abbandonata, dove l’obiezione di coscienza ha raggiunto livelli mai visti tra ginecologi, anestesisti e infermieri, le nuove linee guida sul funzionamento dei consultori familiari potrebbero scardinare una situazione da anni ai limiti dello scandalo. Con un decreto varato senza clamore, ma che di certo farà discutere, il presidente Nicola Zingaretti ridefinisce, delimita e restringe per i medici dei consultori il “diritto” a non applicare la legge sull’aborto.
Il decreto, infatti, se da una parte impone a chi lavora nei servizi territoriali l’obbligo di prescrivere tutte le forme di contraccezione, e senza potersi appellare ad alcuno scudo “morale” nemmeno per la pillola del giorno dopo, dall’altra ricorda ai medici i loro doveri verso la legge 194.
“In merito all’esercizio dell’obiezione di coscienza, si ribadisce come questa riguardi l’attività degli operatori impegnati esclusivamente nel trattamento dell’interruzione volontaria di gravidanza. Il personale del consultorio familiare (invece) non è coinvolto direttamente nella effettuazione di tale pratica, bensì solo nell’attività di certificazione…”.
Dunque, è il senso delle nuove linee guida, quei medici che intervengono soltanto nella fase preliminare all’intervento, quando devono cioè certificare lo stato di gravidanza e la richiesta della donna di poter abortire, non avrebbero diritto a dichiararsi obiettori, come chi invece l’aborto lo esegue materialmente.
Rifiutare dunque il rilascio di quei fondamentali documenti sarebbe, di fatto, un abuso. Naturalmente il decreto, in questa parte, non impone nulla, ma di certo fa capire che nel Lazio devastato dalle politiche contro la 194 di Storace prima e della Polverini poi, l’aria è cambiata. Il punto è delicato. Perché nell’articolo 9 della legge si fa riferimento specifico al diritto all’obiezione anche nella fase della certificazione, eppure la stessa 194 ribadisce poi che i medici non possono astenersi dall’assistere la donna prima e dopo l’intervento.
Un crinale scivoloso e soggetto a più interpretazioni. Spiega Cecilia D’Elia, consulente di Nicola Zingaretti sui temi legati ai diritti e alle pari opportunità: “Il decreto è vincolante per tutto ciò che riguarda la contraccezione, compresa la pillola del giorno dopo, che molti medici ancora si rifiutano di prescrivere, ritenendola a torto un farmaco abortivo. È invece un atto di indirizzo per quanto riguarda l’interruzione volontaria di gravidanza. Si ricorda, cioè, ai medici che l’obiezione di coscienza è sì tutelata dalla legge, ma non può essere estesa anche alla parte della certificazione a cui sono tenuti appunto i ginecologi dei consultori”.
In ogni caso è proprio un cambiamento di rotta. E non è escluso che altri presidenti di regioni possano seguire la strada tracciata dal Lazio. L’applicazione della legge 194 torna cioè al centro delle politiche sanitarie, anche se per adesso soltanto nei consultori. Negli ospedali, invece, dove materialmente si effettuano gli aborti, la situazione continua ad essere grave.
Nel Lazio, come in molte zone del Sud, l’obiezione dei ginecologi è ormai quasi del 90%. Questo vuol dire per le donne dover migrare da un ospedale all’altro alla ricerca di un reparto che garantisca il servizio. E non sono poche quelle che, più fragili o più sole e respinte dal servizio pubblico, finiscono tra le ombre dell’aborto clandestino.
Fonte: la Repubblica
Autore: Maria Novella De Luca
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