MILANO – Non è il solito su e giù dell’umore, non è quel pizzico di malinconia che prende al calare delle ore di luce, o quell’euforia, un filo eccessiva, durante una festa. È una malattia. Tanto che una recente metanalisi dell’Università di Cambridge (condotta sulla base di altri 14 studi) ha mostrato, con la risonanza magnetica, che è perfino in grado di ridurre il quantitativo di materia grigia cerebrale nelle regioni paralimbiche implicate nei processi emozionali. Stiamo parlando della depressione bipolare, caratterizzata da un’instabilità dell’umore tale da compromettere la vita. In Italia ne soffrono 600-900 mila persone. Non è una patologia facile: né da diagnosticare, perché viene confusa con altre, né da curare perché chi la patisce rifiuta l’idea di essere malato. «I bipolari nella fase di “ipomania” — chiarisce Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di Neuroscienze del Fatebenefratelli di Milano — sono euforici, creativi, grandi comunicatori, dinamici, grintosi, ma se si arriva alla mania, come accade nei casi più gravi, il coraggio diventa incoscienza, le passioni si accendono. Niente fa più paura: gioco d’azzardo, sesso senza precauzioni, acquisti irresponsabili. Non si avverte più il bisogno di dormire e mangiare. E, mentre calano le capacità cognitive e di concentrazione, ci si sente superiori, padroni del mondo. Chi tenta di porre ostacoli alla realizzazione dei desideri, anche i più folli, viene visto come un nemico da aggredire. E nei casi di mania più gravi si rende addirittura necessario il ricovero. A chi, però, non piacerebbe sentirsi padrone del mondo? Passare qualche giorno da leone? Ecco perché questi pazienti sono difficili da “agganciare”».
LA FASE DEPRESSIVA – «Ma alla fase maniacale succede quella depressiva: può durare anche sei-sette mesi, contro qualche settimana di tono dell’umore elevato — dice Eugenio Aguglia, presidente della Sip, Società italiana di psichiatria —. Depressione senza motivi esterni, profonda: il paziente rifiuta di uscire, preferisce rimanere a letto, perde l’autostima, si sente in colpa. E se nelle fasi “su” si rischia la vita perché ci si sente invincibili, qui il rischio è quello suicidario anche se è proprio in questa fase che il malato accetta più facilmente un aiuto. «Se non è facile arrivare al malato, non è facile neanche arrivare alla diagnosi, — prosegue Aguglia — possono perfino passare anni dalla comparsa della malattia. La sindrome bipolare, che in genere all’inizio si manifesta con un episodio depressivo, può essere confusa con una depressione tout court. Un errore che costa caro perché, con i classici antidepressivi, usati da soli, i bipolari in fase depressiva reagiscono con il rischio di un nuovo episodio maniacale. Ecco perché è bene prescrivere questi farmaci a dosi basse, per un breve periodo e soprattutto insieme a stabilizzatori dell’umore». «Diagnosi difficile, certo, ma ci sono caratteristiche che aiutano a individuare il bipolare — puntualizza Mencacci —. Disturbi del sonno, propensione all’irritabilità, all’impulsività, uso di alcol e stupefacenti, stili di vita molti “intensi”. Senza dimenticare la familiarità, non determinante, ma importante». Fatta la diagnosi, quali sono le cure? «Il litio funziona bene nella fase ipomaniacale, ma non in quella depressiva. Più indicato l’uso di farmaci stabilizzatori dell’umore, nati come anticonvulsivanti, in particolare la lamotrigina, efficace anche nel prevenire le ricadute depressive. Recenti studi hanno evidenziato l’efficacia degli antipsicotici atipici sulla depressione bipolare, con buoni risultati sul controllo del rischio suicidario» spiega Aguglia . Si può parlare di guarigione? Risponde Aguglia: «Se per almeno due anni si ha una stabilizzazione del tono dell’umore si può andare verso una rarefazione della terapia e pian piano perfino verso una sospensione. Ma per la maggioranza dei pazienti si tratta di cure a vita, anche se alla minima dose di farmaco efficace, perché la patologia può essere tenuta sotto controllo, come nel diabete e nell’ipertensione, non guarita». «Alla terapia farmacologica, che comprende anche gli antipsicotici atipici, — riprende Mencacci — vanno comunque abbinate altre forme di aiuto. Dalla psicoeducazione dei familiari, alla psicoterapia. S’insegna al paziente a conoscere e prevenire le ricadute, sempre dietro l’angolo, a gestire gli stili di vita evitando, per quanto possibile quelle situazioni, come il superlavoro o gli ambienti stressanti, che questi malati patiscono molti più della norma. E, se evitare il problema non è possibile, si aiuta il malato a riconoscere i propri punti deboli, gli eventi per lui più stressanti, affinché si prepari per tempo a gestirli al meglio». «Tenere sotto controllo la bipolarità — conclude Mencacci — vuol dire anche tenere i malati lontani dall’abuso di sostanze varie: dalla cocaina, ai cocktail di stupefacenti, all’alcol che usano come “cura”».
Fonte: Associazione Minerva
Autore: Daniela Natali
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