“Un mese e mezzo dopo, mentre si aspettava di ora in ora di conoscere i risultati dei primi colloqui tra Chamberlain e Hitler, la signora Florent, sporgendosi dalla finestra,teneva d’occhio la cancellata che circondava il parco dei Burgères. Aveva fatto recapitare a Rose un breve messaggio: “ Devo parlarle, mia cara. Si faccia coraggio e abbia fede”. Il pericolo-quando sono altri a percepirlo, lungi dall’angosciare una persona anziana, la mette al contrario in uno stato di grande eccitazione, la rinvigorisce. Probabilmente perché sente di non esser la sola ad avere la morte alle calcagna: tra lei e il resto del mondo si è stabilita una specie di uguaglianza”. Dice Irene Nemirosky ne I Doni della Vita, Adelphy, Milano 2009. Queste parole offrono grande verità e suggeriscono una delle possibili opportunità per osservare l’altro lato degli anni che passano. Mi hanno aperto la strada per queste riflessioni:
Certamente negli scenari che si presentificano è faticoso accogliere il cambiamento fisico e psichico: i mass media rinviano immagini di eterna giovinezza, di cancellazione del dolore, di perfetta efficienza, tuttavia ogni individuo,
che intenda concedersi il lusso di pensare, può osservare criticamente la realtà che lo circonda cogliendone i tratti innovativi ma lasciando andare i deliri di onnipotenza di una società così sofferente che agisce ma raramente pensa. Allora pensare non significa cancellare la presenza della morte, ma comprendere che la vita prende senso proprio perché si sa che si deve morire e anche, magari prima, incontrare la caducità, come ci racconta Freud.
Un’ipotesi per accogliere questa fase della vita, peraltro preziosa, fosse solo perché non si deve più dimostrare niente a nessuno, in quanto comunque le cose principali sono state fatte, è consentirsi “un’invenzione”.
Ognuno si costruisca la propria e naturalmente, come dicevano i filosofi greci e romani, bisogna prepararsi a questo, cioè alla vecchiaia. Ci si può permettere di spostare la prospettiva narcisistica del soggetto che si guarda, si ammira, si apprezza esteticamente, su una creazione dell’opera. Non necessariamente può voler dire lavorare ancora, ma offrire qualcosa all’altro in modi nuovi, magari scoperti per caso. Quando incontrai Edgar Morin che aveva più di 80 anni, e parlò a una folla di persone di una nuova etica della vita, e come lui attivamente cercasse di fare questo, ecco, personalmente cessai di aver paura della vecchiaia. Questi personaggi magnifici devono essere lanterne per illuminarci strade, differenti, secondo i nostri racconti, le nostre misure, ognuno le proprie. La realtà, anche la più complessa, come quella indicata dalla scrittrice, può offrire nuove energie se viene osservata con quel distacco di chi si permette la soddisfazione di quel passato il cui desiderio è stato vivo.
Fonte: disagiopsichico.it
Autore: Mariapia Bobbioni
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