«Nessuno ha ancora spiegato perché i bambini, al di fuori della scuola, sono pieni di domande e mostrano invece la più totale assenza di curiosità riguardo alle materie studiate in classe». Lo scriveva nel 1916 John Dewey, uno dei più importanti filosofi e pedagogisti americani, in Democracy and Education. E, nonostante da allora sia passato esattamente un secolo, la risposta a quella domanda resta ancora in gran parte inevasa. Cambia il mondo, cambiano i mezzi di comunicazione e le esigenze del mercato del lavoro, eppure la realtà della scuola resta sostanzialmente immutata: una dimensione in cui gli studenti si annoiano mortalmente, stretti in una morsa fatta di disciplinamento all’obbedienza, formalismo e materie percepite come inutili o scollate dalla realtà. Nessuna meraviglia, dunque, se i bambini arrivano tra i banchi pieni di passione per poi abbandonarli quasi sempre svogliati, incerti sulle loro inclinazioni, privi di senso critico e spirito di iniziativa.
Una scuola senza voti né orari. Per ovviare al drammatico fallimento dell’istruzione tradizionale, una scuola di Berlino sta provando a rivoluzionare i metodi di insegnamento classici: alla Evangelische Schule Berlin Zentrum (ESBZ) non esistono voti fino ai 15 anni e non ci sono lezioni frontali né orari rigidi. Fatta eccezione per alcune materie obbligatorie (matematica, tedesco, inglese e scienze sociali), sono gli studenti a decidere cosa studiare e quando sostenere gli esami. La scuola, recentemente oggetto di un reportage del The Guardian, si definisce «protestante, coraggiosa e cosmopolita»; tra le sue materie compaiono ad esempio “responsabilità” e “sfida”: per il corso di responsabilità, ragazzi tra i 12 e i 14 anni sono invitati a pianificare autonomamente un’avventura con un budget di 150 euro: c’è chi sceglie kayak, chi va a lavorare in una fattoria, chi a fare trekking in Inghilterra.
La filosofia della Evangelische Schule. Il mercato del lavoro richiede nuove intelligenze e professionalità, mentre internet sta trasformando il modo in cui i giovani acquisiscono ed elaborano informazioni. Per queste ragioni, la capacità più importante che una scuola può trasmettere ai suoi studenti è quella di automotivarsi, sviluppando fiducia in sé stessi, senso di responsabilità e desiderio di affrontare le sfide in autonomia. È questo il convincimento profondo di Margret Rasfeld, preside della ESBZ fresca di pensionamento e autentica istituzione della scuola. «Si pensi ai bambini di tre o quattro anni», spiega al Guardian: «Spesso non vedono l’ora di incominciare la scuola. Ma poi molti istituti, in qualche modo, riescono a distruggere la loro sicurezza, ed è frustrante. La missione di una scuola progressista come la ESBZ è di preparare gli studenti ad affrontare il cambiamento. Anzi, meglio: vogliamo renderli impazienti di andare incontro al cambiamento. Nel XXI secolo le scuole dovrebbero individuare il loro compito nella formazione di personalità forti».
Appassionarsi a ciò che si studia. Gli studenti della ESBZ sono stimolati a sviluppare un’intelligenza più flessibile e meno nozionistica, a studiare non tanto per la competizione e la ricompensa (da qui l’assenza di voti fino a 15 anni, un principio da sempre caldeggiato da intellettuali come Noam Chomsky) quanto per abituarsi alla riflessione e alla cooperazione. E soprattutto, sono spinti ad appassionarsi a ciò che studiano, a comprenderne il senso profondo e ad applicare concretamente le nozioni apprese: ad esempio, anziché sostenere un esame di matematica, devono programmare un videogame. Non mancano le analogie con il metodo Montessori e quello Steiner. Ma la ESBZ insiste maggiormente sull’importanza di un sistema di regole piuttosto severo: «Più sei lasciato libero, più hai bisogno di struttura», sintetizza la Rasfeld. Così ad esempio, gli studenti che fanno chiasso o disturbano durante la lezione devono andare a scuola anche il sabato.
Una scuola solidale ed ecologista. Tra le varie altre sfide poste al centro del progetto della ESBZ, ci sono quelle del multiculturalismo e di un approccio ecologista al mondo: «Vogliamo che ogni bambino sia percepito nella sua straordinarietà e irripetibilità», si legge nel manifesto della scuola. «Bambini con talenti di ogni tipo, con handicap e provenienti da culture diverse nella nostra scuola possono sentirsi accolti. Inoltre vogliamo che i nostri ragazzi sviluppino con gioia senso di responsabilità sociale e uno spirito ecologista, cosmopolita, improntato alla collaborazione e alla fiducia reciproca». L’obiettivo, insomma, è di insegnare agli studenti a stare insieme e a costruire una società solidale, ciò che viene descritto come «la più grande sfida del XXI secolo».
Un modello esportabile? L’impianto federale del sistema di istruzione tedesco, che lascia ampi margini di manovra ai 16 Länder, ha storicamente favorito il fiorire di molteplici modelli educativi sperimentali. Quello della ESBZ, così ambizioso, solleva però tra gli esperti due dubbi fondamentali: è in grado di formare studenti preparati nel senso classico del termine? Può essere esportato in contesti più difficili del centro benestante di Berlino?. Al momento, sembrerebbe di sì: molto dell’entusiasmo suscitato dalla filosofia della Evangelische Schule è dovuto proprio agli straordinari risultati che sta ottenendo. Anno dopo anno, i suoi studenti più grandi si rivelano tra i migliori di Berlino per media voto. E così dal 2007, anno della sua apertura, la scuola è passata da 16 a 500 iscritti, con liste di attesa sempre più lunghe e 40 scuole in Germania che si stanno organizzando per riprodurre il modello ESBZ. La Rasfeld, intanto, respinge al mittente l’idea che la sua sia una scuola per famiglie bene protestanti. Nonostante il crocifisso in classe e la preghiera mattutina, alla Evangelische Schule ci sono studenti con background molto differenti: come riporta The Guardian, solo un terzo degli alunni è battezzato, il 30% proviene da famiglie con un passato di migrazione e il 7% da contesti familiari in cui non si parla tedesco. Certo la ESBZ resta pur sempre una scuola privata con una retta da pagare. I costi, che oscillano tra i 720 e i 6.330 euro all’anno, sono però proporzionali al reddito. E circa il 5% degli studenti è completamente esentato.
Il cambiamento è sicuramente soltanto agli inizi e le sfide da vincere ancora tante: ad esempio, racconta la Rasfeld, trovare insegnanti che sappiano adattarsi ai nuovi metodi di insegnamento è molto più difficile che indurre gli alunni a farlo. Come sempre, di fronte alle novità epocali, gli adulti non possono che imparare dai bambini.
Fonte: Berlino cacio e pepe magazine
Autore: Gianpaolo Pepe
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