Perde man mano il contatto con il mondo, dimentica il nome degli oggetti, non riconosce le persone più care, vorrebbe parlare ma non sa più come: sono ormai oltre 600.000 gli italiani colpiti dall`Alzheimer, malattia che ruba il cervello e, a poco a poco, la vita stessa. Il numero dei nuovi casi è in crescita al ritmo di 150.000 ogni anno, anche a causa dell`invecchiamento della popolazione. Le terapie scarseggiano, ma un aiuto per affrontare alcuni aspetti della malattia può arrivare da strategie alternative come l`ascolto della musica, la presenza di un animale, la compagnia di una bambola: delle cure non farmacologiche per il trattamento della malattia di Alzheimer si è discusso nel corso del X Congresso dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria (AIP) tenutosi a Gardone Riviera (BS) dal 15 al 17 aprile.
“I farmaci per la cura dell`Alzheimer possono solo rallentare la progressione dei sintomi cognitivi; anche le terapie dei disturbi comportamentali come agitazione, aggressività, stereotipie, allucinazioni, insonnia, si sono rivelate talvolta rischiose e non sempre adeguate – spiega Marco Trabucchi, presidente dell’Associazione Italiana Psicogeriatria –. Si sono quindi diffusi approcci di medicina `alternativa` che hanno resistito alla prove di efficacia e vanno sempre più conquistandosi uno spazio tra le cure accettate a tutti i livelli”.
Due esempi sono la `doll therapy` e la `pet therapy`: entrambe dirigono l`attenzione della persona ammalata di demenza verso un compito, quello di giocare con un cane, un gatto, un criceto o una bambola, perché eviti di concentrarsi sulle idee che riempiono in maniera scoordinata il cervello producendo ansia, agitazione, uno stato permanente di disagio. Una ricerca dell`università di Tolosa in corso di pubblicazione ha dimostrato che in questo modo si riducono del 60% i disturbi comportamentali, il paziente migliora la sua alimentazione e si creano le condizioni per un miglior adattamento all’ambiente: “La compagnia di un piccolo animale o di una bambola deve essere mediata da un operatore, che indirizzi e aiuti il paziente: in questo modo si ottiene un ambiente più sereno, che favorisce anche i momenti di riposo e un’alimentazione più tranquilla – aggiunge Trabucchi –. Chi è affetto da demenza grave è spesso incapace di controllare la propria agitazione e di concentrarsi su qualsiasi atto concreto. Se lo si osserva alle prese con una bambola o mentre accudisce un piccolo animale si resta colpiti dalla relazione che si crea, certamente superiore a quella con qualsiasi persona: migliorano le capacità di relazione, di attenzione e di memoria. Non sappiamo perché ciò accada: forse c`è una regressione all’età infantile, si attivano ricordi cancellati solo apparentemente dalla malattia, si riescono a sfruttare le capacità affettive residue. Purtroppo l`effetto di pet e doll therapy non dura più di un giorno, il giorno successivo bisogna ricominciare da capo. Ma mentre sono in atto, queste terapie alternative sono sufficienti a costruire un ambiente di cura sereno, rilassato, nel quale i malati, i loro familiari e gli operatori vivono in condizioni molto migliori rispetto a prima dell’introduzione delle bambole o dei piccoli animali”.
La terapia con la musica prevede una serie di sedute, in genere di gruppo, durante le quali i pazienti sono stimolati attraverso l`ascolto di musiche di vario genere, talvolta accompagnate dal battito ritmico delle mani o da una sorta di danza dei pazienti stessi. Secondo uno studio in via di pubblicazione su Aging and Mental Ealth, condotto dal gruppo di ricerca Geriatrica di Brescia coordinato da Trabucchi, la musica funziona come una sorta di “chiave” per accedere alle emozioni dei malati: “Durante le sedute si ottiene un buon livello di interesse e di attivazione da parte dei partecipanti, che di solito invece non riescono a concentrare su nulla la loro attenzione – spiega Trabucchi –. La musica è un ottimo calmante: riduce l`ansia, la depressione e i disturbi comportamentali dei pazienti. Sull`aggressività, l`agitazione e le allucinazioni la musica può essere perfino più efficace dei farmaci, senza però alcun effetto indesiderato; i benefici durano a lungo, oltre una settimana, anche se poco dopo aver abbandonato l’aula di terapia i partecipanti possono aver dimenticato i contenuti della seduta. Queste cure alternative dimostrano che è ancora possibile fare qualcosa per gli ammalati, che non sia soltanto il contenerne i disagi. Quando osservano un miglioramento dei comportamenti dei pazienti, la ricaduta positiva induce nuovo coraggio in chi ha responsabilità di cura, che non si sente solo responsabile di un fallimento, ma attore di interventi che, seppur limitati, hanno un effetto significativo sui pazienti e sulla loro qualità di vita”.
Fonte: Il Sole 24 Ore
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