La scoperta di un gruppo di ricercatori della Georgetown University. Il metodo ha ottenuto risultati con un’accuratezza del 90% nel diagnosticare l’arrivo della patologia nell’arco di tre anni, partendo dai livelli di 10 specifici lipidi che risultano più bassi nelle persone che hanno iniziato a manifestare i sintomi.
NEW YORK – Un test del sangue capace di prevedere con un’accuratezza del 90% lo sviluppo dell’Alzheimer in una persona nell’arco di tre anni è stato sviluppato da un gruppo di ricercatori americani. Secondo gli studiosi, si tratta di un “passo avanti molto importante”, che potrebbe permettere, grazie alla diagnosi precoce, di contrastare o prevenire la malattia. Lo studio è stato pubblicato su Nature Medicine.
“Il nostro nuovo test del sangue offre la possibilità di identificare le persone a rischio di declino cognitivo progressivo e potrà cambiare la maniera in cui i pazienti, le loro famiglie e i medici gestiranno la malattia”, ha dichiarato Howard Federoff, il principale autore dello studio, che insegna alla Georgetown. Gli scienziati hanno individuato dieci lipidi (grassi) nel sangue che possono essere usati per predire lo sviluppo della malattia; questi test del sangue potranno cominciare a essere sperimentati entro due anni.
Gli scienziati della Georgetown sono arrivati al risultato dopo aver esaminato 525 persone in buona salute e con più di 70 anni, controllandole per cinque anni. Hanno regolarmente analizzato, dopo tre anni, i campioni del sangue di 53 persone che avevano nel frattempo sviluppato l’Alzheimer, confrontandoli con quelli di 53 persone “cognitivamente normali”: i ricercatori hanno così scoperto che i dieci lipidi individuati avrebbero potuto predire con un’accuratezza del 90% i casi di malattia: il livello di questi grassi, infatti, era più basso nel sangue delle persone con i sintomi dell’Alzheimer.
Più di 35 milioni di persone nel mondo soffrono di Alzheimer e secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, il numero di malati potrebbe raddoppiare ogni 20 anni, arrivando a 115 milioni nel 2050. Contro questa malattia neurodegenerativa non esiste un trattamento veramente efficace: le terapie esistenti, al momento, permettono di ridurre i sintomi, ma non rallentano completamente l’avanzamento della malattia. La ricerca internazionale è però convinta che l’unico modo per fermare la malattia sarebbe quello di iniziare un trattamento prima che nei pazienti compaiano i primi segnali.
Secondo Federoff, citato dal Telegraph, essere capaci di predire la malattia prima che si manifestino i sintomi potrebbe offrire “una finestra di opportunità” fondamentale per sviluppare medicine efficaci per combatterla, secondo quanto riportato dal telegraph.
Fonte: Repubblica.it
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