Negli ultimi tempi, grazie a recenti ricerche, è stato sottolineato come la presenza di elementi emozionali regolati ed elaborati sia un presupposto fondamentale per il benessere psicologico dell’individuo a diversi livelli : psicologico, comportamentale, biologico, sociale. I progressi della psicologia sperimentale, della neurobiologia, della psicoanalisi, della ricerca sulle emozioni consentono una nuova prospettiva clinica nello studio di alcuni disturbi della regolazione degli affetti. Attualmente viene dato rilievo ad un modello che sposta l’accento dall’idea di conflitto a quella di deficit.
Un modello più centrato sul deficit porta a ritenere che un funzionamento mentale carente soprattutto nell’elaborazione e comunicazione delle emozioni possa far sì che un problema a livello relazionale si possa esprimere nel corpo. Bisogna ritenere importante nello sviluppo dei disturbi emotivi l’incapacità di riconoscere un’ampia gamma di segni alla base della comunicazione. Infatti la comunicazione umana è un insieme di simboli e segni che definisce le molteplici modalità con cui gli esseri umani entrano in contatto tra loro. La persona non competente sul piano emotivo non sa riconoscere le emozioni proprie e altrui, non è in grado di fronteggiarle e di saperle gestire. La difficoltà di gestire le emozioni si configura come una causa di disturbi.
Un difetto di espressione emotiva viene definito “alessitimia”. Il concetto di alessitimia ha cominciato a diffondersi all’inizio degli anni 70, per le osservazioni effettuate da Nemiah e Sifneos per definire un insieme di caratteristiche di personalità evidenziate nei pazienti psicosomatici come difficoltà ad esprimere verbalmente le emozioni, scarsità di fantasia, stile comunicativo incolore. Il termine alessitimia di derivazione greca significa “mancanza di parole per le emozioni. Un aspetto fondamentale da sottolineare è il discostarsi del concetto di alessitimia da un modello di inibizione. Infatti il soggetto alessitimico non inibisce o nega le emozioni, bensì non riesce ad esprimere. Taylor, Bagby e Parker (1997) lavorando sui risultati di lunghe ricerche empiriche, hanno considerato l’alessitimia un disturbo dell’elaborazione degli affetti che interferisce con i processi di auto-regolazione e riorganizzazione dell’organismo. Il costrutto dell’ alessitimia è considerato uno dei possibili fattori di rischio per vari disturbi somatici e psichiatrici che hanno a che fare con problemi di regolazione affettiva. La modalità attuale di intendere la psicosomatica considera l’alessitimia non più come un fattore di causalità lineare ma come un fattore di rischio che interagisce con altri ( genetici, comportamentali, altri fattori psicologici ecc.) Caratteristiche dell’alissitimia si presentano in molte problematiche in cui un’emozione non regolata, non elaborata, si esprime in un agito. L’incapacità di modulare le emozioni per mezzo dell’elaborazione cognitiva potrebbe spiegare la tendenza dei soggetti alessitimici a liberarsi da tensioni causate da stati emotivi non piacevoli mediante comportamenti compulsivi quali : l’abbuffarsi di cibo, l’abuso di sostanze, il comportamento sessuale perverso. Infatti un livello preconcettuale di organizzazione emotiva cioè la carenza di elementi emozionali elaborati, può dare origine a vari disturbi della regolazione affettiva.
Attualmente il costrutto dell’alessitimia si compone delle seguenti caratteristiche (Taylor et al, 1990):
difficoltà a discriminare una emozione dall’altra e gli stati somatici dalle emozioni;
difficoltà a comunicare ad altri le proprie emozioni;
presenza di processi immaginativi coartati, con scarsezza di vita fantasmatica;
presenza di uno stile cognitivo legato allo stimolo, orientato all’esterno (il pensiero operazionale della scuola di Marty et al. , 1963). In relazione alla regolazione interpersonale delle emozioni è necessario tener presente che il soggetto alessitimico, è incapace di utilizzare i rapporti interpersonali non riuscendo a “decodificare” e apprendere il significato delle espressioni verbali e non verbali alla base degli scambi comunicativi. Ekman (1993) evidenzia il ruolo delle espressioni facciali di emozioni come fonte di retroazione affettiva verso il soggetto e allo stesso tempo di comunicazione con gli altri. I soggetti alessitimici mostrano una ridotta capacità empatica : non riescono ad utilizzare come segnali le proprie emozioni, così non possono utilizzare quelle degli altri. Interessante è il concetto dell’intelligenza emotiva (Goleman, 1995) quale costrutto in relazione con l’autoregolazione affettiva. I soggetti con scarsa intelligenza emotiva hanno ridotte capacità di conoscenza delle proprie esperienze emotive, non riescono ad essere empatici, cioè incapaci di immedesimarsi in un’altra persona. La mancanza di empatia non consente di capire dal punto di vista emotivo che cosa vuol dire l’altro. I soggetti alessitimici, la cui capacità di simbolizzazione è limitata sono incapaci di sviluppare interessi e stati affettivi positivi. Riguardo al deficit dell’aspetto cognitivo-esperenziale dei sistemi di risposta emotiva, il soggetto alessitimico manifesta uno stile di pensiero operatorio nel descrivere in modo dettagliato i propri sintomi e gli eventi esterni, senza fare alcun riferimento alle proprie esperienze interne.
La scarsità dell’immaginazione non dà ai soggetti alessitimici la possibilità di modulare l’ansia e le altre emozioni mediante la fantasia, i sogni e il gioco. Nel gioco, ad esempio, i bambini imparano a collegare tra loro i sentimenti, i pensieri e le loro attività. L’attività ludica è una risorsa utile affinché il bambino possa sperimentare affetti positivi di interesse e gioia. Gli individui che hanno un’immaginazione ristretta e non sviluppano alcun interesse, e a cui mancano anche delle relazioni sociali di supporto, rischiano di affidarsi a dei metodi di regolazione affettiva meno efficaci. I soggetti generalmente sviluppano interessi che ricoprono l’importante funzione di generare affetti positivi e si impegnano in attività che hanno una funzione di conforto. Molti teorici sottolineano la grande importanza delle relazioni oggettuali precoci, nello sviluppo emotivo. La capacità di regolare le emozioni si apprende nell’infanzia. Il primo sviluppo affettivo costituisce la base delle relazioni affettive dell’età adulta. Winnicott ha visto la relazione tra il bambino e una madre empaticamente sintonizzata come la base fondamentale da cui iniziare il graduale sviluppo dell’immaginazione e delle capacità creative del bambino. In Winnicott troviamo il concetto di oggetto transizionale come fase intermedia tra la regolazione fornita dall’esterno e quella interiorizzata per raggiungere la rappresentazione simbolica della madre. La capacità immaginativa del bambino si sviluppa fino a riuscire a formare un’immagine della madre in sua assenza. Questa capacità gioca un ruolo determinante nello sviluppo della personalità e nell’autoregolazione degli affetti nel corso di tutta la vita, per l’acquisizione delle varie competenze sociali,per la creatività e per le risorse mentali. L’attenzione clinica per le dinamiche affettive è stata rafforzata da varie ricerche, dalla teoria del Sé, delle relazioni oggettuali e dalla teoria dell’attaccamento. Il lavoro dei ricercatori sui bambini ci ha aiutato a riconoscere che le esperienze emotive che avvengono tra il bambino e le figure di accudimento sono fondamentali per l’identificazione, l’espressione e quindi la regolazione degli stati emotivi. Nei primi anni di sviluppo è cruciale imparare a distinguere e denominare le proprie emozioni. La capacità di rappresentare verbalmente le proprie esperienze e di riflettere su queste consente al soggetto di cominciare a tollerare le tensioni provocate dai propri bisogni, e a utilizzare i propri affetti come segnali. Un normale sviluppo affettivo non può avvenire quando i genitori non riescono a leggere gli indizi affettivi del bambino. Infatti,la sintonizzazione dei genitori con i segnali emotivi del loro bambino e la loro capacità di trasformare le emozioni primitive creano le basi per apprendere la capacità di autoregolazione affettiva. Quindi l’attenzione va posta sulla storia personale, dando importanza alle relazioni infantili disfunzionali nella formazione di disturbi nella sfera emotiva. La privazione di un rapporto continuo, caldo e affettuoso con la madre o un’altra figura genitoriale mette quindi la persona a rischio di problemi psichiatrici. Studi molto recenti hanno mostrato un rapporto dell’alessitimia con il concetto di attaccamento.
All’interno di un attaccamento sicuro, è stato ipotizzato,che la comunicazione affettiva possa portare a risultati positivi nella costruzione di emozioni “regolate”. In un attaccamento insicuro, al contrario vi è difficoltà nell’elaborazione delle emozioni e si possono sviluppare diverse carenze nell’integrare i processi cognitivi con l’affettività. Per l’apprendimento di uno stile di attaccamento sicuro, base di ogni relazione positiva nel corso della vita è fondamentale l’esperienza di condivisione degli affetti e la disponibilità emotiva del caregiver. Ricerche sugli stili di attaccamento nell’infanzia hanno confermato che la sensibilità del caregiver principale agli stati emotivi del bambino è un fattore determinante del modo in cui da piccoli impariamo a regolare gli affetti disturbanti e ad entrare in relazione con gli altri.
L’alessitimia è stata associata a uno stile di attaccamento insicuro,evitante, caratterizzato da un bisogno talvolta ossessivo di attenzioni e cure.
Secondo i teorici dell’attaccamento, bisogna aspettarsi che le rappresentazioni difettose del sé e dell’oggetto costruite dai soggetti alessitimici nel corso dell’infanzia, così anche i loro deficit di regolazione affettiva, abbiano una grossa influenza sul tipo di relazioni interpersonali che essi stabiliscono nella vita adulta.
Se nella nostra storia personale siamo stati amati, saremo a nostra volta capaci di amare e raggiungere una regolazione affettiva autonoma. Se invece abbiamo vissuto esperienze difficili di separazione ed abbandono, avremo difficoltà a instaurare relazioni mature con gli altri nella vita adulta. Le persone che sono andate incontro a traumi, abusi o a esperienze emotive particolarmente negative presentano in modo più probabile dei disturbi emotivi.
I progressi nella comprensione delle difficoltà nella sfera affettiva, le osservazioni cliniche fatte ai pazienti alessitimici, hanno messo in evidenza la necessità di una ristrutturazione cognitivo-affettiva della personalità di questi soggetti. Il soggetto alessitimico va visto come una persona dotata di emozioni primitive, terrifiche, nei confronti delle quali ha sviluppato molte difese. Il trattamento dei disturbi della regolazione affettiva richiede spesso un’integrazione degli approcci farmacologico e psicoterapeutico.
Un trattamento integrato è in accordo con l’idea che l’eziologia e la patogenesi dei disturbi della regolazione degli affetti coinvolgono interazioni complesse tra fattori psicosociali e neurobiologici.Il compito del terapeuta è quello di aiutare i pazienti alessitimici ad esprimere, riconoscere e gestire le proprie emozioni tenendo conto delle carenze del soggetto alessitimico soprattutto nella dimensione cognitivo/esperenziale ed interpersonale.
A questo scopo si è trovato utile combinare gli interventi psicoterapeutici con tecniche comportamentali, quali il training di rilassamento, il training autogeno e il biofeedback,tutte tecniche che si concentrano direttamente sulle sensazioni corporee e aumentano allo stesso tempo la consapevolezza da parte del paziente della relazione di queste sensazioni con gli eventi ambientali. L’approccio terapeutico che va utilizzato per i pazienti alessitimici si propone di elevare le emozioni da un livello di esperienza strettamente legata alla percezione a un livello di rappresentazione concettuale in cui le emozioni possono essere oggetto di riflessione. Importante è aiutare il paziente a tradurre i propri sentimenti in parole e poterli utilizzare come segnali. All’interno del rapporto terapeutico va sviluppato la consapevolezza del proprio deficit nel modo di elaborare ed esperire le emozioni. L’aumento della capacità di autoregolare le emozioni previene il verificarsi di stati di prolungata attivazione emotiva che potrebbero condurre a malattie somatiche. Ai pazienti va insegnato che le emozioni non vanno scaricate per mezzo dell’azione immediata, ma sono aspetti dell’esperienza che trasmettono informazioni importanti per affrontare più efficacemente gli eventi stressanti. Il paziente alessitimico deve apprendere la capacità di identificare, distinguere i propri sentimenti per poi tradurli in parole. Infatti un compito essenziale in un trattamento di pazienti alessitimici, è aiutare questi soggetti a convertire in rappresentazioni e parole i conflitti e le emozioni che si esprimono soltanto attraverso il linguaggio del corpo. Un livello preconcettuale è un segnale di disorganizzazione emotiva che si può trasformare nell’adolescenza e in età adulta in forme di attività basate sulla pura e semplice sensorialità quale il bere troppo, l’abbuffarsi di cibo, l’abuso di sostanze, ecc. Per quanto riguarda, ad esempio, i disturbi da uso di sostanze, è stato rilevato, sulla base di osservazioni cliniche, che esiste una debolezza psicostrutturale negli individui predisposti a dipendenza da uso di sostanze. A tale riguardo, Kohut (1977) ritiene che la persona diventa dipendente per riempire il vuoto strutturale del Sé. Altri autori hanno sottolineato che l’incapacità di esperire il proprio mondo affettivo e la mancanza di empatia con gli affetti altrui dell’individuo possono costituire grossi rischi per l’equilibrio psicofisico dell’individuo. Pertanto vanno ricercate strategie che possano aiutare a trovare soluzioni efficaci per prevenire molti disturbi psichiatrici associati a disregolazione emotiva. Una strategia utile a favorire il proprio benessere psicofisico dovrebbe proporsi tramite un programma di educazione razionale- emotiva, il raggiungimento della consapevolezza delle proprie reazioni emotive e della relazione esistente tra pensieri e stati d’animo.
Un’educazione affettiva come processo di apprendimento in grado di ridurre l’insorgere di stati d’animo eccessivamente negativi, di facilitare il potenziamento di emozioni positive e contenere emozioni negative, quali rabbia, paura e altre difficoltà emotive. Lo scopo dovrebbe essere quello di favorire lo sviluppo della cosiddetta “intelligenza emotiva”.
Nell’epoca attuale, di fronte all’aumento di problematiche legate a disregolazione emotiva in molti disturbi psichiatrici che si presentano principalmente con sintomi somatici e in alcune malattie mediche, vi è l’urgenza di soluzioni più adeguate e mirate a prevenire le conseguenze del disagio sul piano della salute.
Va considerata interessante e ricca di sviluppi per il futuro la proposta di Monica Tomassoni e Luigi Solano che in “ Una base più sicura”, sostengono la possibilità di una collaborazione diretta tra medici e psicologi nella valutazione di molteplici fattori che possono influenzare la salute degli individui. L’attenzione va focalizzata su un’assistenza medica che non trascuri i bisogni emotivi dei pazienti e si arricchisca di una collaborazione di diverse figure professionali in una condivisione di progetti e interventi. Il frequente riscontro di caratteristiche alessitimiche nei pazienti affetti da malattie psicosomatiche pone il problema di un trattamento psicologico nella fase iniziale in cui si costruisce la malattia nella considerazione dell’influenza dei fattori emotivi/sociali sulla patologia organica. Il concetto, a mio parere, notevolmente innovativo, consiste nella possibilità per quanto complessa di una collaborazione a livello di medicina di base che permetta allo psicologo di intervenire in una fase precoce in cui si costruisce la malattia.
La proposta di Tomassoni e Solano di una collaborazione tra medico e psicologo anche se complessa potrebbe rappresentare una strategia efficace per indagare e approfondire la comprensione degli aspetti psicologici e interpersonali dei sintomi.
L’obiettivo è quello di dare al paziente una risposta più completa alle problematiche legate ai processi emotivi con un’integrazione tra conoscenze mediche e psicologiche in un lavoro di confronto e di elaborazione. Così da dare la giusta attenzione ai molteplici fattori che intervengono nei disturbi di regolazione del sistema- emozioni. All’interno di una teoria dei sistemi si può comprendere come un disturbo di regolazione del sistema-emozioni possa portare a disturbi negli altri sistemi dell’organismo(endocrino, immunitario, cardiovascolare). La collaborazione tra medici e psicologi è un’occasione di conoscenza e riflessione in relazione alla diversità complementare dei punti di osservazione, nell’indagare, risolvere, e dare una diversa lettura delle varie espressioni del disagio individuale e sociale con cui bisogna confrontarsi.
Fonte: Psicoterapia.it
Autore: Maria Rosaria Giuliano
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