Viviamo l’epoca del precariato, affettivo oltre che lavorativo; il senso di impotenza dato dall’impossibilità di realizzarsi in un’occupazione, così come la mancata formazione di una identità lavorativa, possono disorientare, bloccare, far perdere slancio in ogni campo relazionale. Per affrontare questo status non esistono formule, solo 10 utili consigli per potersi destreggiare tra incertezze e disorientamento lavorativo.
Dire qualcosa di utile sulla precarietà, in questo momento di grandi difficoltà lavorative ed economiche, risulta sempre un po’ banale. Perché i problemi del lavoro toccano da vicino moltissime persone tra disoccupati, cassaintegrati, inoccupati, sottoccupati. E la precarietà è una condizione, oltre che una difficoltà sociale, che coinvolge più o meno un po’ tutti, giovani e meno giovani. Contraddistingue ormai il clima delle aziende, provocando competizioni, rivendicazioni e anche, purtroppo, forme di sfruttamento.
Forse di crisi se ne parla troppo, un termine che ha invaso anche il linguaggio comune. Essere in crisi è diventato un modus vivendi che coinvolge e stravolge il modo di lavorare, di fare scelte, di frequentare gli altri, di immaginare il rapporto di coppia. Di pensare la propria vita. Di (non) vedersi nel futuro. Disagio, delusione, disorientamento, demotivazione procurati dalla perdita di lavoro – o dalla possibilità di perderlo – ci immobilizzano in una condizione di impotenza, inadeguatezza, paura. Vissuti che possono farci stare male anche fisicamente.
In termini tecnici si parla di sindrome da lavoro precario. In un altro senso però si può interpretare come una risposta, del tutto sana, necessaria per reagire, dispiegare le risorse di cui disponiamo per affrontare la situazione. Alcuni studi dimostrano che il precariato è correlato negativamente al benessere. Ma la precarietà non porta necessariamente disturbi di ansia o depressione. Ci sono caratteristiche personali che mediano le reazioni e giocano un ruolo fondamentale nel gestire l’impatto delle difficoltà sulla nostra vita. Come la capacità di fronteggiare gli eventi difficili, di riorganizzare l’esistenza, di saper cogliere le opportunità. Sono questi gli aspetti psicologici sui quali puntare. Non esistono tattiche e ricette che magicamente risolvono. Deve esserci un passaggio emotivo per dare significato alla crisi. Il mondo interiore deve riassestarsi.
Il termine crisi porta in sé delle potenzialità, se si è in grado di coglierle e non si affoga nei pensieri distruttivi, nella frustrazione e nella disperazione. Queste sono reazioni che servono inizialmente per destrutturarci, demolire vecchi schemi mentali. Per poi arrivare però a modi altri di stare nelle cose, reagire e agire. Resettandoci. Dando un significato diverso ai vissuti di profonda incertezza della precarietà. Il modo migliore per contrastarla è muoversi, fare qualcosa, sperimentarsi. Riacquistare il senso di controllo e potere della propria vita. Ecco alcune “mosse” che possono aiutare.
1. Vedere questo momento come una rivoluzione. Aprendosi al cambiamento, a nuovi orizzonti mentali. Servono cambio di mentalità, apertura e flessibilità, abbandonando convinzioni e schemi di vita basati sul posto fisso e sulle sicurezze di sempre. L’unica sicurezza è la possibilità di reinventarsi, riorganizzarsi, di ripartire da qualcosa. Essere creativi.
2. Vivere in termini di immediatezza. Essere troppo accorti e prudenti, pensando sempre a cosa potrà accadere (che, guarda caso, è sempre immaginato in negativo), alle volte non ci fa andare da nessuna parte. Sono importanti leggerezza e fiducia nelle proprie possibilità per osare e tentare.
3. Liberare la mente da pensieri autolesionistici, non fare la vittima, non fissarsi sugli aspetti drammatici della vita. Piangersi sempre addosso ci rende pericolosamente passivi. Messa a fuoco la nostra disgrazia, è il caso di impegnarsi.
4. Riflettere sul fatto che lavoratore precario non vuol dire perdente: non è una incapacità personale, è una difficoltà sociale che riguarda tutti.
5. Autonomia e progettualità devono essere reinventate, sono pilastri del nostro benessere e indispensabili alla nostra crescita.
6. Non autoescludersi. Non fare in modo di boicottare ogni tentativo con il mantra negativo “tanto non serve a niente” per finire a fare nulla veramente.
7. Rivalutare le relazioni, ritrovare l’autenticità dello stare insieme. La crisi è l’occasione per riscoprire risorse sociali preziosissime come collaborazione, condivisione, partecipazione in una società che invece ha prevalentemente puntato sulla competizione.
8. Gestire la propria vita, così come il proprio percorso lavorativo, non aspettare di essere licenziato o che arrivi qualcosa da fuori. Meglio interessarsi, provarsi, sperimentarsi in percorsi alternativi che scegliamo. Stiamo attraversando una ridefinizione di quello che vuol dire lavorare, fare carriera, vivere una relazione di coppia.
9. Ridimensionarsi, mettersi in discussione, assestarsi su diversi obiettivi di vita. Un’occasione positiva offerta dalla crisi è quella di confrontarsi con i propri limiti, infrangere certezze scontate, sicurezze, presunzione e narcisismo, aspetti finora sostenuti nella nostra cultura.
10. Smorzare l’enfasi moderna data al lavoro e, ultimamente, alla crisi. Non solo la professione ci definisce, ci dice chi siamo, ci qualifica, ci offre un’identità. Non siamo solo il nostro lavoro.
Fonte: Repubblica
Autore: Brunella Gasperini
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